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Channel: Burro e Malla

Bialy, il pane dimenticato

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Bialy, il pane dimenticato

Nel lontano 1980, alla fuga disperata da colui di cui qui ho già parlato, mio padre, per assicurarsi che non cambiassi idea (del resto era già successo), pensò bene di mettere tra me e il novello Otello il mare e così mi spedì da mia nonna che ai tempi abitava a New York. Quando ripenso a quei 3 o 4 mesi, i ricordi mi si presentano come una sorta di istantanee mentali e sensoriali: i grattacieli illuminati riflessi sulla strada bagnata dalla pioggia nella notte, la vista mozzafiato dal Windows on the world, il ristorante al 107 piano della North Tower del World Tread Center, il profumo della splendida libreria Rizzoli, allora nella 5th Avenue, con le sue vetrate, i pannelli di legno  e i lampadari scintillanti e dove nel mio immaginario continueranno ad incontrarsi per sempre i timidi sguardi di Molly e Frank nel film Innamorarsi, la grandiosità dello Yankee Stadium, la meravigliosa stravaganza dei frequentatori dello Studio 54, i denti affondati in un bialy fragrante all’alba di una fredda mattina di febbraio, in una piccolissima bakery nel Lower East Side, vicino al Columbus Park. Solo ora, rileggendo quello che ho scritto, mi rendo tristemente conto che molti dei luoghi che ho citato non esistono più. Il Windows on the world, al 107 piano, venne separato dai piani più bassi del grattacielo dal volo dell’American Airlines che si schiantò tra il 93 e il 99 della North Tower alla velocità di 790 km orari esattamente alle ore 08:46:30 dell’11 settembre 2001. Nessun sopravvissuto tra i 164 che si trovavano al suo interno. La libreria Rizzoli è stata trasferita subito dopo le riprese di Innamorarsi per far posto all’ennesimo edificio di lusso, lo yankee Stadium, che nella sua storia ha ospitato eventi quali l’incontro tra Muhammad All e Ken Norton e la messa celebrata da Giovanni Paolo II,  è stato demolito ed è diventato un parco e lo Studio 54 è stato chiuso definitivamente nell’86 e successivamente trasformato in teatro. E i bialys? Fuori da New York sono praticamente sconosciuti mentre a New York sono sopravvissuti, sempre però all’ombra dei più conosciuti bagel ed è un vero peccato perchè sono altrettanto buoni, anzi, di più. Il bialy arrivò negli Stati Uniti  nei primi anni del 900 dalla lontana Bialystok, in Polonia, città nella quale la comunità ebraica contava, prima della seconda guerra mondiale, più di 50.000 persone. Approdò insieme agli emigrati direttamente nel Lower East Side di Manhattan, dove fu presto adottato dall’intera comunità ebraica newyorkese diventandone il simbolo, tanto che la zona venne in seguito definita Bialy Central. Come racconta però Mimi Sheraton nel suo libro The Bialy Eaters, la Bialystok trovata nel suo viaggio alla ricerca dell’origine di questo pane è stato un luogo di desolazione dal quale questo pane ebraico è sparito perchè i suoi fornai sono stati costretti a scappare dai nazisti oppure sono stati da loro uccisi nella stessa Bialystok, per esempio nell’incendio della Grande Sinagoga mentre altri morirono più tardi ad Auschwitz e Treblinka, riducendo il numero degli ebrei da 50.000 a 5. Ed ecco quindi che il bialy chiamato anche kuchen, acquista il profondo significato di memento per chi vuole e deve ricordare un mondo che non c’è più anche attraverso i suoi sapori;  perchè le nostre radici durano fino a quando il cibo sulla nostra tavola le ricorderà  e e a maggior ragione per chi è stato costretto a lasciare il suo mondo o se lo è visto distruggere sistematicamente, il cibo rappresenta uno strardinario veicolo della memoria. Dall’introduzione al libro di Samuel Pisar: “Quando ero un adolescente ad Auschwitz, sdraiato sulla dura mensola che era il mio letto e con le allucinazioni dalla fame, cercavo spesso di ricordare la forma e l’aroma saporito del kuchen che mangiavamo a casa a Bialystok. A quel punto avevo già perso tutta la mia famiglia e gli amici della scuola. Anni dopo, a New York, guardavo spesso i carretti all’angolo delle strade che vendevano caffè e pane al mattino. Mi meravigliai vedendo i bianchi, i neri, gli asiatici e i latinos che sgranocchiavano i loro bialys. Mi sentivo come se provenissi da un altro pianeta. Per ognuno di loro, era semplicemente un gustoso spuntino. Come potevano sapere che stavano condividendo qualcosa di sacro, un pane che evocava ricordi agrodolci di una cultura e di un tragico angolo della Polonia orientale? Un pane che, nella mia psiche, richiama ancora oggi il mistico mondo dei sogni di Marc Chagall e Isaac Bashevis Singer.”

Bialy, il pane dimenticato

Bialy

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Serves: 15 bialys Prep Time: Cooking Time:

Ingredients

  • Per l'impasto: 445 g di acqua
  • 10 g di malto o miele
  • 5 g lievito disidratato
  • 600 g farina forte
  • 200 g farina 00
  • 15 g sale
  • Per il ripieno tradizionale:
  • 2 cipolle tagliate a pezzetti
  • 2 spicchi d'aglio
  • 1 cucchiaio di semi di papavero
  • Sale e pepe
  • Altre farciture che però non appartengono al bialy: pomodoro, patate e cipolla, salmone.

Instructions

Come preparare l’impasto dei bialys:

  1. Mettete l’acqua a temperatura ambiente nella vasca dell’impastatrice.
  2. Aggiungetevi il lievito ed il malto e mescolate bene con una frusta.
  3. Aggiungete la farina e il sale.
  4. Impastate con il gancio alla velocità minima per 3 minuti.
  5. Appena l’impasto starà insieme, aumentate di una tacca la velocità ed impastate per altri 2 minuti. E’ importante che l’impasto non sia lavorato troppo.
  6. Rovesciate l’impasto sulla spianatoia e finite di lavorarlo a mano finché non avrà un aspetto compatto. Dovrà risultare abbastanza asciutto.
  7. Mettetelo all’interno di una ciotola oliata, coprite con pellicola trasparente e fate riposare per due ore o finché il suo volume non sarà raddoppiato.
  8. Trasferite l’impasto sulla spianatoia e dividetelo in pezzature da 70 g circa, quindi fatene delle palline. Non infarinate la spianatoia altrimenti vi sarà difficile dare alle pezzature la forma.
  9. Mettete le palline su di una teglia da forno spolverizzata di farina, spolverizzate anche le palline  e coprite con pellicola trasparente.
  10. Trasferite in frigo dove le farete riposare almeno 4 ore oppure se ne avete la possibilità, fino al mattino dopo, in modo che il glutine si rilassi e sia così più semplice lavorarlo come anche fargli mantenere la forma.

Come preparare il ripieno:

  1. Tagliate due cipolle a pezzetti.
  2. Mettetele in una padella con tre cucchiai di olio già caldo e fate stufare fino a quando le cipolle non diventeranno trasparenti.
  3. Salate e pepate.
  4. Tritate grossolanamente l’aglio e posizionatelo al centro delle cipolle.
  5. Continuate a far cuocere altri 5 minuti quindi togliete dal fuoco.
  6. Aggiungete al composto un bel cucchiaio di semi di papavero.

 Formatura dei bialys:

  1. Togliete la teglia dal frigo.
  2. Preparate un’altra teglia da forno e foderatela con carta forno.
  3. Lasciate le palline coperte fino a quando non le lavorerete, quindi prendetene una per volta e con le dita ben infarinate pressate l’interno delle palline cercando di creare una specie di scodellina lasciando una specie di cornice rialzata. Premete bene al centro con i pollici tirando contemporaneamente la pasta perchè lo spessore al centro deve essere veramente sottile.
  4. Posizionate i bialys su di una teglia coperta da carta forno e mano a mano che sono pronti spolverizzateli di farina e copriteli con pellicola trasparente per non farli seccare.
  5. Preriscaldate il forno a 220° forno statico.
  6. Quando tutte le palline saranno bialys coprite di nuovo con pellicola trasparente e fate riposare in frigo per circa 30 minuti.
  7. Appena prima di riempirli, pressate di nuovo il centro che deve accogliere il ripieno.
  8. Riempiteli con la farcitura.
  9. Lasciateli riposare coperti altri 15 minuti.. 
  10. Spruzzate leggermente con acqua, spolverizzate le cornici con un poco di farina e mettete in forno.
  11. Cuocete per circa 20 minuti girando la teglia dopo 10 minuti
  12. I bialys non devono colorire troppo quindi dopo 15 minuti controllate la cottura.

Notes

Il bialy si differenzia dal bagel prima di tutto perchè al centro non ha un buco ma una specie di fossetta che va riempita prima della cottura e che di solito contiene cipolle, aglio e semi di papavero e non prevede bollitura preventiva alla cottura in forno. Ha una bella crosticina ma all'interno risulta più morbido del bagel e se non viene consumato in giornata, dà ancora il suo meglio il giorno dopo, tostato e spalmato leggermente con burro o formaggio cremoso. 

Bialy, il pane dimenticato

Bialy, il pane dimenticato

Credits: Wikipedia   Mimi Sheraton: The bialy Eaters

Di bialys ne porto un panierino alla Sandra, con le sue ricette itineranti

 

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Tartellette con verdure primaverili e ricotta

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Tartellette con verdure primaverili e ricottaTartellette con verdure primaverili e ricotta è la ricetta proposta per il mese di Marzo da Re-cake 2.0 e con un titolo così sembrerebbe quasi che la primavera fosse arrivata. Peccato che invece tante verdure primaverili siano state bruciate dal gelo mettendo in crisi contadini e aziende. Il mio rivenditore bio per esempio ci ha mandato una mail scusandosi perchè non potrà assolvere all’impegno preso con il nostro G.A.S. per la consegna delle cassette settimanali. Mi vedo quindi costretta a fare scorta di verdure, dopo chissà quanto tempo, al Supermercato dove acquisto i beni di prima necessità, il poco scatolame che uso, il latte, la pasta. E devo dire che dopo anni di acquisti bio e a km 0 è un vero choc. Come già raccontato qua le mie abitudini sono ormai ben collaudate e con un pò d’organizzazione e con l’uso dell’abbattitore riesco a fare quasi del tutto a fare a meno del supermercato. Ovviamente mi rendo conto di essere fortunata ad avere il tempo materiale per farmi ogni settimana o due il giretto per  rifornirmi di verdure, carne e formaggi e certo anche il fatto di vivere in Toscana e ancor di più in provincia, rende tutto più semplice; acquistare bio sta però diventando pratica comune e anche in città si trovano aziende biodinamiche con i G.A.S. diventano veramente alla portata di tutti, anche economicamente. La differenza è innegabile: le verdure oltre ad avere un sapore migliore hanno anche una durata maggiore e poi pian piano ho imparato a godere del viaggetto tra le colline pisane e a prenderlo come un ulteriore beneficio, la possibilità di rallentare per un poco.. Queste tartellette comunque sono davvero buone. Leggere (la pasta fillo ha poche calorie), colorate e saporite vi faranno sentire la primavera  più vicina o comunque renderanno la vostra attesa molto più piacevole  😉

Tartellette con verdure primaverili e ricotta

Tartellette con verdure primaverili e ricotta

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Serves: 10 tartellette Prep Time: Cooking Time:

Ingredients

  • Per il ripieno:
  • 1/2 Kg di ricotta
  • 1 uovo
  • 1 spicchio di aglio finemente tritato
  • Una manciata di basilico fresco
  • 20 g di pecorino grattugiato
  • 20 g di fontina grattugiata
  • 25 g di Asiago grattugiato
  • Mezzo porro
  • 30 g di piselli)
  • 2 carciofi
  • 1 carota
  • 70 g di pomodorini
  • Sale
  • Pepe
  • Olio extravergine di oliva
  • Per la pasta fillo:
  • 75 grammi di manitoba
  • 40 ml di acqua calda
  • 1 e 1/2 cucchiaini di olio evo
  • 1/4 di cucchiaino di sale

Instructions

Preparazione della pasta fillo:

  1. Mettete gli ingredienti nella vasca della planetaria ed impastate con il gancio finché non otterrete un panetto elastico. Considerando che la quantità è poca potete anche decidere di impastare a mano.
  2. Formate una palla, coprite con pellicola e fate riposare almeno per un’ora.
  3. Riprendete la pasta e dividetela in 10 palline.
  4. Dividete a loro volta ogni pallina in tre palline più piccole.
  5. Stendetene una per volta passandola alla sfogliatrice partendo dal numero 1 per arrivare fino al numero 6.

Preparazione del ripieno:

  1. Pulite i carciofi, tagliateli a spicchi sottili e metteteli in acqua acidulata. Tagliate i pomodorini a quarti e conditeli con un pizzico di sale.
  2. Lessate brevemente i piselli in acqua salata e metteteli da parte.
  3. Affettate il porro, quindi mettetelo in padella con un bel giro d’olio. Aggiungete i carciofi, i piselli e la carota tagliata a julienne.
  4. Salate e pepate e fate stufare mantenendo le verdure croccanti.
  5. In una ciotola riunite la ricotta, il pecorino, l’Asiago, la fontina, il basilico, l’aglio e l’uovo. Regolate di sale e pepe. Mescolate finché non è tutto ben amalgamato. Unite anche metà delle verdure spadellate in precedenza.
  6. Ungete con l’olio una teglia da muffin e foderate ogni cavità con 3 delle sfoglie rotonde di pasta fillo avendo cura di spennellarle o ancora meglio spruzzarle prima di ogni aggiunta.
  7. Riempite con la ricotta e livellate bene.
  8. Disponete sulla ricotta le verdure rimaste ed i pomodorini.
  9. Condite con un filo d’olio ed infornate in forno preriscaldato a 200 gradi.
  10. Dopo 15 minuti controllate la cottura. Il guscio dovrà essere dorato e croccante ma se dovesse scurirsi troppo in fretta, coprite le tartellette con un foglio di alluminio.
  11. Sfornate e servite tiepidi o freddi.

Notes

Tirare 27 palline di pasta fillo richiede abbastanza tempo anche se secondo me esteticamente ne vale la pena. Se però andaste di fretta oppure se preferiste la tart al posto delle tartellette, vi basterà dividere l'impasto in 3 palline. Ne stenderete una per volta ottenendo delle strisce. Ungerete con l’olio un foglio di pasta fillo e lo metterete nella teglia rivestendo anche i bordi, quindi sovrapporrete il secondo, lo ungerete e così via fino all’ultimo foglio. A me l'impasto è avanzato. Se dovesse succedere anche a voi, vi consiglio di usare la rimanenza per riempirci dei paccheri cotti qualche minuto da fine cottura da passare in forno con sopra un bel sughetto di pomodoro fresco. Buoni almeno quanto le tartellette 😉

Tartellette con verdure primaverili e ricottaTartellette con verdure primaverili e ricottaCon questa ricetta partecipo al Re-cake 2.0 di Marzo. Questa la locandina:

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Onion bhaji cotte al forno

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Onion bhaji cotte al fornoLe onion bhaji cotte al forno fanno parte della grande famiglia dei chaat (snacks), al pari dei samosa, dei papadums, dei momos, dei tikki (vedi la mia ricetta dei aloo palak tikki qui) e di altri mille straordinari spuntini che in India si vendono all’angolo di ogni strada. In India si sgranocchia qualcosa ad ogni ora del giorno e della notte ma a differenza di quello che succede molto spesso nei paesi occidentali, quello che si mangia non è confezionato industrialmente ma fresco e molto spesso appena cotto. Della cucina indiana tutti ormai conoscono il pollo Tikka Masala, il metodo di cottura Tandoori, il chapati e il naan ma quanti conoscono i chaat? Originari pare dell’Uttar Pradesh, sono ormai parte integrante della tradizione culinaria dell’intero continente indiano e un universo intero per noi da scoprire. Caldi, freddi, salati, dolci, piccanti, comodi per le loro dimensioni “da morso”, disponibili ad ogni ora e in ogni luogo, c’è sempre una buona scusa per gustarsi un chaat veloce. I venditori ambulanti di chaat si piazzano strategicamente vicino agli uffici, le stazioni dei treni, le scuole e i mercati con i loro banchetti e sembra che ce ne siano addirittura 300.000 nella sola Delhi. 

Onion bhaji cotte al forno

Il cibo di strada è una parte fondamentale della cultura indiana e ogni area ha le sue specialità : a nord paratha, Rajma, kadhi. A sud, idli, pongal, biryani, adai, paniyaram. Ad est momos, jhaal-muri, puchka, alu chaat. Ad ovest Vada Pav, cutting chai, Bhel puri, pav bhaji e questo solo per nominarne alcuni. Di solito sono composti da una base croccante che permette di portarli alla bocca senza sporcarsi troppo le mani, un ripieno vegetale, una salsa e poi l’onnipresente Chaat Masala, una miscela di spezie composta da peperoncino, polvere di mango, sale nero, assafetida, pepe nero e semi di cumino. Come l’umami è il sesto gusto dei giapponesi, quello indiano è chiamato chatpata ed è una combinazione di salato, dolce, aspro e piccante che è la caratteristica prima dei chaat. Quando sono stata in India in viaggio di nozze ho assaggiato molti chaat straordinari ma purtroppo non mi ricordo più i nomi. Le onion bhaji sono un ricordo di ciò che mangiavo a Londra dove, India a parte, si trovano i migliori ristoranti indiani al mondo. Vi lascio con la ricetta che costituirà parte del nostro pranzo di Pasqua perchè noi siamo etnici nel cuore 😊

Buone feste  

Onion bhaji cotte al forno

Onion bhaji cotte al forno

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Serves: 4 Prep Time: Cooking Time:

Ingredients

  • Un pezzetto di ginger di circa 2 cm tagliato a fettine
  • 2 cucchiaini di semi di cumino
  • sale
  • 800 g di cipolle bianche pulite e tagliate a metà e poi a fette in modo da ottenere mezzelune di mezzo cm circa
  • 4 cucchiai d'olio extra vergine d'oliva
  • 180 g di buona farina di ceci
  • 30 g di prezzemolo lavato e tagliato grossolanamente
  • 1/2 cucchiaino di peperoncino in polvere
  • 1 cucchiaino di coriandolo in polvere
  • 1/2 cucchiaino di curcuma in polvere
  • 1 cucchiaino di succo di limone
  • Sale

Instructions

Preriscaldate il forno a 180°.

Usando un mortaio oppure un mixer, riducete in pasta il ginger con i semi di cumino ed il sale.

In una padella capiente mettete l’olio e quando sarà caldo unitevi le cipolle e cuocetele girandole di tanto in tanto per circa 15 minuti o comunque finché non diventeranno trasparenti.

Trasferite le cipolle in una ciotola ed aggiungetevi il peperoncino, la pasta di ginger, il coriandolo, la curcuma, la farina di ceci setacciata con un colino, il prezzemolo, il succo di limone e 1/2 cucchiaino di sale.

Mescolate bene e poi unite un cucchiaino per volta di acqua (per un massimo di 30 ml). Quello che dovete ottenere è un composto morbido ma che tenga la forma una volta in forno. Attenzione, non deve essere della consistenza di una polpetta perchè dovrà essere colato sulla teglia con un cucchiaio.

Foderate una teglia con carta forno e quindi versatevi l’impasto a cucchiaiate cercando di dare a tutte le onion bhaji  più o meno la stessa forma.

Infornate e cuocete per circa 25 minuti, fino a quando non saranno dorate e servite subito.

 

 

Notes

Per prima cosa le spezie: la cucina indiana ne utilizza veramente tante ma per la maggior parte dei casi per iniziare a cucinare indiano vi basterà avere peperoncino, curcuma in polvere, cumino in polvere e in semi e coriandolo in polvere, che si possono acquistare tranquillamente in qualsiasi supermercato. Il ginger è veramente essenziale ma anche questo lo troverete ovunque e potrete usarlo anche per tisane e minestre. L'olio che si usa di solito è di semi ma io trovo che le spezie siano comunque così forti da permettere di usare dell'olio extra vergine senza che si noti la differenza. Il coriandolo è usato praticamente in tutti i piatti indiani ma a parte il fatto che qua da noi fresco non si trova, in casa nostra non ci piace il suo retrogusto di cimice quindi io lo sostituisco con il prezzemolo fresco. Ultimo punto: la farina di ceci. In India si usa la gram flour che però è diversa di sapore dalla nostra farina di ceci che è un poco più amara. L'unica farina che ho trovato che le assomiglia molto di sapore è quella del Molino Chiavazza, quella con il sacchetto rosso e blu. Probabilmente ci saranno altre farine altrettanto dolci ma tra quelle che io trovo qua in Toscana questa è quella più adatta.

Onion bhaji cotte al forno

Onion bhaji cotte al forno

Credits: Meera Sodha

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Couscous rosso con pomodori e cipolla di Ottolenghi

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Couscous rosso con pomodori e cipolla di Ottolenghi su piatto con mestoloCon questo couscous rosso con pomodori e cipolla di Ottolenghi sono di nuovo qua a parlare di lui, di questo straordinario cuoco fonte di ispirazione per l’universo vegetariano e non. Per capire appieno la sua personalità curiosa ed apprezzarne ulteriormente il percorso bisogna però ripercorrere i fatti salienti della sua vita. Promesso: cercherò di essere breve 😊 Yotam Ottolenghi nasce a Gerusalemme ed è di discendenze italiana ed ebreo tedesca. Studia letteratura comparativa a Tel Aviv ma nel 1997 si trasferisce ad Amsterdam anche perchè in patria non vive bene il suo essere un giovane gay. Qui si dedica all’edizione ebraica del settimanale NIW e nel frattempo si prepara per il dottorato ma per nostra fortuna si rende presto conto che ama la cucina più di ogni altra cosa e così infila in un volume che spedisce a suo padre un foglietto dove spiega la sua decisione e si trasferisce a Londra dove lascia perdere la filosofia estetica e studia cucina francese a Le Cordon Bleu. Successivamente lavorerà come pasticcere in tre ristoranti: lo stellato Capital, il Kensington Place ed il Launceston Place.
Nel 99 la svolta. Entra nel locale Baker & Spice a Knightsbridge per cercare lavoro ma qui incontra lo chef Sami Tamimi. Dopo poche parole si rendono incredibilmente conto di avere non solo lo stesso background (sono nati lo stesso anno e sono cresciuti entrambi a Gerusalemme a pochi km di distanza uno dall’altro anche se ai due opposti del conflitto perchè Sami è israelo-palestinese) ma sono anche entrambi gay, si sono trasferiti a Tel Aviv nello stesso periodo, lì hanno addirittura frequentato frequentato gli stessi ristoranti ma nonostante questo le loro strade si sono incrociate solo a Londra, dove tra l’altro sono arrivati nello stesso periodo. Come potevano dunque non diventare amici quando verrebbe addirittura da pensare che l’universo intero abbia cospirato affinché si incontrassero? (grazie Coelho per la frase ispirata) 

Couscous rosso con pomodori e cipolla di Ottolenghi particolare fettaDa lì in poi è storia. Nel 2002 i due insieme a Noam Bar fonderanno la delicatessen Ottolenghi, nel famoso quartiere di Notting Hill e in breve Ottolenghi diventerà uno dei posti in dove mangiare uno spuntino grazie al genio dei due amici e all’uso insolito (per l’universo culinario british) delle verdure. Una delle frasi più rappresentative di Ottolenghi è che la sua missione è di celebrare le verdure e i legumi senza cercare di farli sembrare carne o usarli solo come accompagnamento alla carne ma facendoli essere quello che sono
Nel 2006 Ottolenghi inizia a scrivere per il Guardian una colonna settimanale, The new vegetarian, nonostante Ottolenghi non sia vegetariano e non sono la sola a ritenere che ne scriva con cognizione di causa 😊
Nel 2008 pubblica il suo primo libro, Ottolenghi che vende oltre 100.000 copie e al quale seguiranno Plenty , Plenty More, Jerusalem, Nopi e Sweet.
Da allora ha aperto altre due delicatessen, un ristorante e una brasserie chiamata Nopi (north of Piccadilly), si è sposato con il suo compagno Karl ed ha avuto due figli facendo il suo secondo coming out, questa volta come genitore gay. 

Couscous rosso con pomodori e cipolla di Ottolenghi su piatto e sottopiatto vista aereaDall’introduzione del libro Jerusalem:  “Una delle nostre ricette preferite di questa raccolta, un semplice couscous con pomodori e cipolla, si basa su un piatto che la mamma di Sami, Na’ama, gli cucinava quando era un bambino nella Gerusalemme musulmana, quella est. Più o meno nello stesso momento, nella parte ebraica della città, quella ovest, il padre di Yotam, Michael,  preparava un piatto molto simile. Essendo italiano, il piatto di Michael era però preparato con piccole palline di pasta chiamate ptitim. Tutte e due le versioni  erano deliziose e perfetto esempio di comfort food”

Ed è questo il motivo per il quale questo couscous, nonostante la sua semplicità, mi ha conquistata molto più di tanti altri piatti elaborati. Perché riesco ad immaginare il piccolo Sami che lo chiede a sua madre e come sempre mi sorprende quanto la cucina possa essere vero conforto con solo per il corpo ma soprattutto per l’anima, in special modo quando si soffre la malinconia per la propria terra d’origine. Un profumo, un sapore, hanno la straordinaria capacità di riportarti indietro in un attimo coccolandoti per qualche istante e facendoti sentire meno solo. E non a caso Ottolenghi ha dichiarato che cucina per sfuggire alla malinconia

Qui la mia ricetta del tadik, il piatto iraniano con il quale Ottolenghi ha contaminato il suo couscous.

Couscous rosso con pomodori e cipolla di Ottolenghi

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Serves: 4 Prep Time: Cooking Time:

Ingredients

  • 3 cucchiai di olio extra vergine d'oliva
  • 160 g di cipolla tritata finemente
  • 1 cucchiaio di conserva
  • 1 cucchiaino di zucchero
  • 320 g di pomodori maturi lavati e tagliati a dadini
  • 150 g di couscous
  • 220 ml di brodo vegetale bollente
  • 20 g di burro (sostituite con 1 cucchiaio di olio per la versione vegana)
  • sale e pepe

Instructions

Per il condimento del couscous:

Mettete 2 dei 3 cucchiai d’olio extra vergine in una casseruola bassa antiaderente di 22 cm e riscaldate a fuoco medio.

Mettetevi la cipolla tritata e cuocete per 5 minuti mescolando spesso. La cipolla si deve ammorbidire ma non scurire.

Unite la conserva e lo zucchero e cuocete per 1 minuto.

Aggiungete i pomodori, mezzo cucchiaino di sale e il pepe e cuocete per 3 minuti.

Per il couscous:

Mettete il couscous in una ciotola, versatevi sopra il brodo bollente e tappate con un coperchio o con plastica alimentare.

Fate riposare per 10 minuti e poi sgranate con i rebbi di una forchetta.

Aggiungete al couscous la salsa di pomodoro e mescolate bene.

Scaldate nuovamente a fuoco medio la casseruola che avete usato per il pomodoro e fatevi sciogliere il burro e il cucchiaio di olio extra vergine rimanente.

Rovesciatevi il couscous e con il dorso di un cucchiaio o con una spatola di silicone schiacciatelo uniformemente.

Coprite, abbassate il fuoco al minimo e fate cuocere per altri 10, 12 minuti o comunque finché non vedrete che i bordi del couscous cominciano a colorarsi.

Aiutatevi con una spatola per sollevare dai lati il couscous e vedere se si è formata la crosticina, altrimenti lasciate cuocere ancora coperto per qualche minuto. La base del couscous deve colorarsi e diventare croccante.

Rovesciate velocemente su di un piatto piano  facendo attenzione a non muovere troppo la casseruola e servite caldo o a temperatura ambiente.

 

 

 

 

 

Notes

Lungi da me modificare una ricetta di Ottolenghi ma ho comunque delle note personali da aggiungere: - Se non disponete di pomodori dolci e succosi perchè li avete terminati oppure perchè semplicemente non è stagione, questo couscous è straordinariamente buono anche se si usano pomodori pelati di buona qualità ma bisognerà diminuire la quantità dei pomodori di almeno 30 g altrimenti il couscous risulterà troppo liquido e si faticherà ad ottenere la crosticina. -Ho diminuito il quantitativo di burro da 40 a 20 g perchè per me 40 erano veramente eccessivi. Ritenetevi liberi di usare olio al posto del burro ma il burro ha un suo perchè e dona una dolcezza particolare al couscous. -Non preoccupatevi se alzando il couscous per vedere se si è formata la crosticina questo perde un poco la forma. Basterà pressarlo di nuovo e sarà bello come prima -Ultima cosa: come la mia amica Mahvash mi ha insegnato per il tadik a cui Ottolenghi si ispira, la crosticina si forma meglio se "rinvolgiamo" il coperchio con un canovaccio perchè assorbe la condensa che si crea sotto il tappo. Il sistema funziona ma non utilizzate il vostro canovaccio più bello perchè con il calore un pò di alone scuro potrebbe restare.

Couscous rosso con pomodori e cipolla di Ottolenghi

Altre ricette di Ottolenghi su questo blog:

Vellutata di topinambur con pesto di nocciole e spinaci

Lenticchie di Castelluccio con pomodorini confit e gorgonzola

Pissaladiere di ceci  

Ravioli di caprino con cavolo nero croccante su crema di ceci

 

 

Credits: Wikipedia The Indipendent

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Chocolate raspberry tart di Ottolenghi

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chocolate raspberry tart di ottolenghi foto con ricettaChocolate raspberry tart di Ottolenghi ma no, questa volta non è colpa mia se torno con l’ennesima sua ricetta. La colpa è delle cape del Re-cake 2.0 che hanno deciso che il tema di questo mese sarebbe stata una ricetta del mio amato Ottolenghi e non una delle sue insalate o verdurine che di solito propongo in questo blog, no davvero.  Cosa vanno a scegliere loro? Una crostata e che crostata? Cioccolato e lamponi. Ho lungamente dibattuto tra me e me medesima se fosse il caso di saltare il Re-cake almeno per questo mese ma poi ho deciso di no e così il mio anno sabbatico dal colesterolo si interrompe per una frazione di secondo perchè tanto ci vuole a divorarsene una fetta e tornerò presto con ricette ben più avvedute ma credetemi, qua un strappo ci vuole perchè (e non poteva essere diversamente visto l’autore della ricetta) questa crostata è davvero superlativa. Croccante e cremosa, dolce ed asprigna, una forchettata è una bomba di sapori che vi esploderanno in bocca tanto che resistere alla seconda forchettata e poi alla terza diventerà davvero difficile. Del resto il mio cuoco preferito riesce nei dolci almeno quanto nei salati e le ricette del suo Sweet lo dimostrano tutte o almeno quelle che finora ho provato: i peanut sandies, i cranberry oat and white chocolate biscuites (qui dalle svalvolate), gli amaretti with honey and orange blossom e i lemon and semolina syrup cakes che ho visto qui su Starbooks. Questa chocolate raspberry tart di Ottolenghi va provata, non c’è dubbio alcuno e se proprio siete in stand-by dal colesterolo, fate come me: dimezzate la dose così limiterete i danni ma vi assicuro che ve ne pentirete amaramente già al primo morso. Il mio sentito grazie alle ragazze del Re-cake perchè anche questa volta hanno fatto centro anche se il mio colesterolo non è d’accordo ma in fin dei conti chi è che comanda tra noi due? 😉

chocolate raspberry tart di ottolenghi particolare fetta

chocolate raspberry tart di ottolenghi foto con procedimento

Chocolate raspberry tart di ottolenghi

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Serves: 8 Prep Time: Cooking Time:

Ingredients

  • Per la base:
  • 180 g di burro freddo
  • 
300 g di farina
  • 
90 g di zucchero a velo
  • ¼ di cucchiaino di sale
  • 1 tuorlo d’uovo
  • 30 ml di acqua fredda
  • Burro fuso per ungere la teglia
  • Per la confettura:
  • 200 g di lamponi/fragole
  • 60 g di zucchero
  • 3 pezzi di anice stellato
  • Per il ripieno al cioccolato:
  • 150 g di cioccolato al latte
  • 150 g di cioccolato fondente
  • 200 g di burro
  • 2 tuorli d’uovo
  • 2 uova intere
  • 60 g di zucchero
  • Per completare:
  • Cacao in polvere
  • 
Lamponi

Instructions

  1. Base:
  2. Tagliate il burro a cubetti e unitelo alla farina, lo zucchero e il sale all’interno della vasca dell’impastatrice oppure se preferite fare a mano, in una ciotola capiente. Impastate fino ad ottenere delle grosse briciole quindi aggiungete il tuorlo e l’acqua ed impastate fino a ottenere una palla che dopo essere stata appiattita farete riposare in frigo per circa un’ora.
  3. Confettura di lamponi:
  4. Lavate i lamponi e metteteli in una casseruola insieme allo zucchero e all’anice stellato.
  5. Mescolate e fate sobbollire a fuoco basso per circa 10 minuti quindi rimuovete l’anice stellato e fate freddare.
  6. Frolla:
  7. Preriscaldate il forno a 160 gradi. Spennellate con il burro fuso una teglia da crostata da 22 cm con fondo removibile.
  8. Stendete la pasta frolla a uno spessore di 2-3 mm e rivestitevi la teglia facendo un bordo di circa 1 cm.
  9. Coprite con cartaforno e riempite con legumi secchi o riso.
  10. Cuocete per circa 25 minuti dopo di che rimuovete carta e legumi e fate cuocere per altri 15 minuti o comunque finché la base non sarà dorata.
  11. Ripieno:
  12. Mettete i cioccolati a pezzetti e il burro in una ciotola e fate fondere a bagnomaria. 
  13. Montate le uova intere, i tuorli e lo zucchero finché non diventeranno chiari e spumosi quindi uniteli al cioccolato fuso.
  14. Assemblaggio:
  15. Versate la confettura nel guscio di frolla e livellate.
  16. Coprite con la crema al cioccolato e cuocete a 160 gradi per 20 minuti.
  17. Fate freddare, spolverizzate di cacao e decorate con lamponi e le fragole. 

Notes

-La teglia che ho usato è 35X11 ed è perfetta per metà dose. -A me l'acqua da aggiungere all'impasto della frolla non è servita e anzi, forse una decina di grammi in più di farina ci sarebbe stata perchè la frolla è venuta molto friabile e non ha tenuto bene la forma della teglia. -Una mezz'ora in frigo dopo aver ovviamente portato la crostata a temperatura ambiente aiuta la crema al cioccolato a solidificarsi ma io comunque non ho avuto problemi di sorta. -Ho usato cioccolato fondente e al latte perchè nessuno in casa gradisce le creme al cioccolato fatte solo col fondente. -Io per i passaggi ho utilizzato l'abbattitore Fresco dimezzando così i tempi. -La crostata è davvero buona e si conserva bene. Lo so per certo perchè a causa della qui presente che doveva fare le foto è stato impedito l'assaggio al resto della famiglia per 3 giorni e quando alla fine la crostata è stata resa finalmente disponibile, era perfetta. Chissà come sarebbe stata il primo giorno 😋 Riconfermo il mio amore assoluto per Ottolenghi ❤

chocolate raspberry tart con coltello di servizio

Con questa ricetta partecipo al Re-cake 2.0 di Aprile. Questa la locandina:

L'articolo Chocolate raspberry tart di Ottolenghi proviene da Burro e Malla.

Prawn katsu burgers e la storia di Akiko Saito

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Prawn katsu burger e la storia di Akiko Saito

Tanti tanti anni fa, appena prima di compiere i 16 anni, mio padre decise di mandarmi a Londra a frequentare un corso estivo di inglese. Ai tempi c’era la Mondadori che li organizzava: scuola + sistemazione in famiglia comprensiva di colazione e cena. Inutili i miei tentativi di convincerlo che avrei avuto più possibilità di imparare l’inglese se avessi abitato in centro. Ahimè, fui destinata ad una famiglia che abitava in Wandsworth Common che allora era periferia ma che adesso, con lo sviluppo dell’aerea metropolitana londinese, è  diventata uno dei 35 distretti della Inner London, cioè i quartieri che formano la parte centrale di Londra. La cosa tragica era che ai tempi l’unico modo per raggiungere Wandsworth era via bus (e io non parlavo abbastanza bene inglese per sentirmi sicura di scegliere quello giusto di notte) o via treno e l’ultimo treno diretto a Wandsworth partiva da Londra alle 22. La vacanza studio quindi perse molta della sua attrattiva anche se comunque la scuola era in centro e così almeno il pomeriggio me ne stavo in giro con i miei compagni (quasi tutti italiani) fino a che, come Cenerentola, la mia zucca mi riportava a Wandsworth, proprio quando l’azione cominciava. L’inglese non lo imparai ma almeno mi feci un’idea su cosa avrei dovuto fare la volta dopo per godermela un pò di più. Così quando tornai a Londra pretesi di essere ospitata da una famiglia che abitasse in centro e questa volta la sorte mi sorrise davvero perchè l’indirizzo era Holland Park, una delle zone più ricche e belle di Londra (tanto per farvi capire: una mia amica che abita ancora in zona, beata lei, mi ha mandato una foto di David Beckham che tirava due calci al pallone insieme al figlio proprio nel parco dove ero solita passeggiare). Il padrone di casa era un discografico famoso che non si vedeva mai, la moglie era una tipa alquanto alternativa, una hippie assolutamente fuori luogo in quell’ambiente di Bentley e Rolls e poi c’era il figlio, Jamie, un bambino di 3 o 4 anni che era stato cresciuto allo stato brado per non “tarpare le ali alla sua creatività condizionandolo con regole da adulti”. Tradotto in fatti, questo voleva dire che Jamie poteva andare in giro distruggendo tutto ciò che trovava sul suo cammino e lanciando oggetti addosso agli abitanti della casa (ricordo in particolare il grosso livido sulla fronte provocatomi da una macchina fotografica compatta). Ne pativamo la follia io e l’altra ospite della famiglia, una ragazza giapponese di nome Akiko. Per sfuggire a Jamie, spesso io ed Akiko uscivamo insieme e passavamo serate tranquille a parlare davanti ad una pinta di sidro nel pub vicino a casa. Akiko era una studentessa di psicologia alll’università di Tokyo ed aveva deciso di passare l’estate a Londra per un motivo molto più intrigante dell’imparare l’inglese, infatti aveva conosciuto Curt Smith dei Tears for fears a Tokyo ed avevano avuto una storia talmente intensa che Curt l’aveva pregata di raggiungerlo a Londra. In realtà poi le cose tra di loro non andarono avanti per molto perchè i Tears for fears stavano vivendo un momento di fama straordinario e quindi Curt non aveva molto tempo disponibile per Akiko e in ogni caso lei voleva tornare a Tokyo finite le vacanze per conseguire il dottorato. La nostra amicizia però, al contrario di quell’amore, stava crescendo, tanto che cominciavo a trovare davvero straziante il pensiero di dovermene separare, così alla fine dell’estate la invitai ad allungare la vacanza e a venire con me in Italia, luogo che lei non aveva mai visitato. Furono tre settimane splendide. Visitammo molte città ma ricordo soprattutto Venezia, io e lei a passeggiare di sera tra le calli buie, lo sciacquettio dell’acqua, i nostri passi tranquilli, la sua risata sempre coperta educatamente dalla mano con quel fare grazioso e timido così ricorrente nelle donne giapponesi, le sue foto scattate a Sandra Milo incontrata in Piazza San Marco che le avevo detto essere l’attrice italiana più famosa al mondo, il nostro ostello dalle suore, un luogo inquietante, dalle mille statuette della Madonna nascoste nell’ombra e il fortissimo, stordente profumo di incenso. Guardava le ragazze per strada, Akiko, e si vedeva brutta con le sue palpebre appena accennate, gli occhi a mandorla, i capelli troppo dritti ed era inutile cercare di confortarla assicurandole che lei era diversa ed appunto per questo bellissima. E soffriva di depressione, un mal di vivere che ogni tanto la prendeva e le copriva il  cuore  con un velo nero e soffocante, che le impediva di vedere la luce e le sue molte qualità. E allora mi scriveva, lunghe lettere crocchianti di carta sottile, nelle quali riversava tutta la sua disperazione, la difficoltà della sua scelta di studi, psicologia, in un mondo dove esternare le proprie emozioni non era appropriato, la competitività che lei detestava, lo stress, la difficoltà di tenersi al pari. Pensava di non essere abbastanza intelligente, abbastanza sveglia, odiava il rigore del Giappone, la poca spontaneità, rimpiangeva il calore umano che aveva conosciuto in Europa, sognava di esercitare la sua professione in Inghilterra. Era cattolica Akiko ed ho ancora un santino di una bellissima Madonna con gli occhi a mandorla proprio come lei  che avevo scoperto dentro una sua lettera, con scritto sul retro quanto mi sentisse vicina, come la sorella che non aveva mai avuto e come pregasse la Madonna per me. Ci siamo scritte per anni, senza che passasse un mese senza una sua lettera. Io ero tornata a Londra per restare, Akiko proseguiva i suoi studi a Tokyo e mi prometteva che ci saremmo presto riunite. Poi l’impensabile. Io cambio casa e le scrivo il mio nuovo indirizzo ad un indirizzo al quale lei non lo riceverà mai perchè contemporaneamente anche lei si è trasferita. La cerco con ogni metodo possibile ed immaginabile: scrivo e telefono all’ambasciata giapponese dove mi rispondono che la privacy in Giappone è un concetto molto diverso dal nostro in Italia e che non è possibile darmi informazioni,  mi iscrivo su uno dei primi social network, ICQ e successivamente su MySpace, poi Facebook, ma mi scontro col fatto che ci sono centinaia di Akiko Saito e molte di queste senza foto sul profilo, allora abbino la ricerca del suo nome al termine psicologia e scopro che un famoso psicologo giapponese si chiama Akiko Saito, comincio a mandare brevi messaggi tutti uguali su Facebook e vengo bannata perchè il sistema li riconosce come spam, fermo addirittura i giapponesi per strada lasciandogli il mio indirizzo e chiedendo loro se tornati in Giappone possono cercare sull’elenco telefonico quel nome per me, perchè oltre a tutte le altre difficoltà c’è anche quella dei caratteri che io ovviamente non so leggere e che mi impedisce ricerche più approfondite. Poi un giorno ricevo un messaggio su Facebook. E’ una delle tante Akiko Saito alle quali ho mandato un messaggio che si è impietosita leggendolo e che si dichiara disposta ad aiutarmi. Le fornisco tutti i dati che possiedo, i precedenti indirizzi di Akiko, la data di nascita, le mando anche la foto di quando si è laureata perchè, mi spiega, in base all’abito si può capire che università ha frequentato. Questa straordinaria sconosciuta, alla quale porterò riconoscenza eterna, nonostante i mille impegni perchè ha un’impresa di design, comincia a visitare uno dopo l’altro, i luoghi dove Akiko ha vissuto e l’università dove ha studiato e finalmente trova una traccia: un professore di nome Yoshino conosce Akiko perchè ha insegnato alla sua classe. Si scambiano qualche mail e il Professor Yoshino fornisce un’indirizzo mail che però purtroppo non risulta più attivo. Indirizzo che alla fine ha .uk. Pare quindi che Akiko abbia realizzato uno dei suoi sogni infatti trovo in rete il riferimento ad una Akiko Saito nata esattamente lo stesso giorno dello stesso anno in cui è nata lei che risulta insegnante esterno all’università di Cambridge, allora scrivo all’università  chiedendo informazioni ma non mi rispondono. Nel frattempo l’altra Akiko continua instancabilmente a cercare tramite le università ma la ricerca si complica ulteriormente perchè si trovano sue tracce solo fino al 98 dopo di che sparisce perchè probabilmente si è sposata ed ha preso il nome del marito. Riesce però a scovare due studenti che si sono laureati con lei e che le parlano di una grave depressione. E qui purtroppo la ricerca si interrompe. Nessuna altra informazione, nessuna traccia da allora, ma io non mi rassegno e soprattutto non dimentico perchè quando due vite si sono incontrate ed intrecciate come le nostre, non è possibile che sia stato per caso. Una volta al mese torno su Facebook, cerco in rete il suo nome, controllo gli insegnanti di Cambridge e oggi scrivo questo post nel caso che, per qualche strano scherzo del destino, qualcuno che la conosce legga il post, ce la riconosca e la riporti da me, a casa. 

Prawn katsu burger la storia di Akiko Saito

Prawn katsu burger e la storia di Akiko Saito

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Serves: 2 Prep Time: Cooking Time:

Ingredients

  • Per i Katsu:
  • 200 g di gamberi sgusciati crudi
  • 1 cipollina fresca
  • 1 albume
  • 1 cucchiaio di farina di mais
  • 50 g di pangrattato
  • Sale
  • Pepe
  • Prezzemolo tritato
  • Farina bianca
  • 2 panini da hamburger (io impasto del challah)
  • Insalata o cavolo cinese

Instructions

Sciacquate i gamberi in acqua fredda ed asciugateli bene con carta assorbente.

Mettetene metà in una ciotola e l’altra metà mettetela in un mixer insieme alla cipollina fresca tagliata a rondelle, il sale ed il pepe.

Azionate il motore ad intermittenza perchè dovrete ottenere un composto non troppo fine.

Unitevi la farina di mais, l’albume, il prezzemolo ed il resto dei gamberi e tritate di nuovo ad intermittenza. I pezzettini dei gamberi dovranno rimanere visibili all’interno del composto.

Trasferite il composto in frigo dove dovrà compattarsi almeno per un’oretta.

Mettete il pangrattato in una ciotola bassa e larga mentre in una ciotola più piccola mettete 3 cucchiai di farina disciolti in poca acqua. Dovete ottenere una specie di pastella della consistenza della pastella per le crepes.

Prendete il composto dal frigo e dividetelo in due palline che appiattirete con le mani leggermente bagnate. Il composto tende a separarsi ma passandolo nella farina e nel pangrattato diventerà gestibile.

Tuffate i due hamburger nella pastella di farina e successivamente passatele nel pangrattato facendo attenzione che aderisca anche sui lati.

Trasferite gli hamburger così ottenuti in frigo per un’altra ora.

Preriscaldate il forno a 200° modalità ventilato, mettete gli hamburger su di una teglia da forno rivestita di carta forno, spruzzateli o spennellateli d’olio e cuocete per circa 5 minuti per lato, dopo di che ripassate altri 2,3 minuti per lato modalità grill.

Notes

Ho letto la ricetta dei katsu sul sito della BBC Good Food ma cercando in giro non sono riuscita a trovare molte notizie su questo piatto se non che katsu indica un piatto giapponese di pollo/maiale schiacciato, impanato con panko (che è un particolare tipo di pangrattato ottenuto con pane bianco tipico della cucina giapponese) e poi fritto. In fondo al post metto il link su come preparare il panko in casa se si volesse replicare il katsu esattamente alla maniera giapponese ma io ho usato un semplice pangrattato non troppo fine fatto in casa ed il risultato è comunque ottimo anche se la prossima volta il panko lo voglio provare. Il passaggio prima nella pastella di farina ed acqua e poi nel pangrattato l'ho aggiunto perchè la prima volta che ho cucinato i katsu si erano un poco sfatti. In questo modo invece restano belli compatti. La ricetta prevede la frittura che però ho sostituito con la cottura in forno ma siete liberi di provare la cottura originale. Ultima cosa: si congelano bene sia da cotti che da crudi.

Prawn katsu burger e la storia di Akiko Saito

Credits: BBC Good Food

 Qui il link su come preparare il panko in casa se si volesse replicare il katsu esattamente alla maniera giapponese. 

E questa è Akiko: la seconda studentessa a sinistra ❤

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Monkey bread alle erbe e spezie

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Monkey bread con erbe e spezieIl Re-cake di Maggio, Monkey bread alle erbe e spezie, mi ha assolutamente conquistata.  Il Monkey breadoaranygaluska se vogliamo chiamarlo con il suo vero nome, ha origini ungaro-ebraiche e viene servito per colazione versandovi sopra burro fuso, zucchero, cannella e noci. Il Monkey bread alle erbe e spezie proposto dalle cape invece è una cornucopia di sapori dove ognuno potrà scegliere il suo: semi di papavero e di sesamo, Piment d’Espelette per i temerari, mandorle a lamelle, erba cipollina, curry, prezzemolo e parmigiano ricoprono e abbelliscono le palline di morbido impasto che sono state preventivamente passate in burro aromatizzato all’aglio prima di essere cotte. Il risultato lo potete immaginare: un soffice pane lievitato con un profumo davvero stordente che mette a rischio le palline ancora prima che siano cotte poverine. Del resto i rischi e pericoli del pane all’aglio già li conoscevo, infatti da quando ho pubblicato questi, li ho sfornati di nuovo e di nuovo e di nuovo ancora e non ci stancano mai. L’unica raccomandazione che mi sento di darvi è che questo pane va fatto e va mangiato perchè la sua breve lievitazione non permette che si conservi a lungo ma si ovvia con la surgelazione, sempre che ne avanzi. Vi lascio con la ricetta. Ovviamente potete personalizzare i toppings a vostro piacimento, anzi, pensandoci bene, se si omettesse l’aglio si potrebbe anche fare una versione dolce con guarnizioni dolci di vario tipo, glassa, cannella, frutta secca varia, ganache.. La prossima volta 😉

Monkey bread con erbe e spezie

Monkey bread alle erbe e spezie

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Serves: 8 Prep Time: Cooking Time:

Ingredients

  • 600 g di farina Floriddia tipo 1
  • 2 cucchiaini di sale
  • 1 bustina di lievito di birra secco
  • 1 cucchiaino di zucchero
  • 1 uovo
  • 250 ml di acqua tiepida
  • 
80 ml di olio extravergine di oliva
  • 100 g di burro fuso
  • 
2 spicchi di aglio
  • 2 cucchiai di semi di sesamo tostati
  • 2 cucchiai di semi di papavero
  • 2 cucchiai di curry
  • 20 g di parmigiano grattugiato
  • 
20 g di mandorle a lamelle
  • 
2 cucchiai di Piment d'Espelette
  • 
2 cucchiai di erba cipollina tritata finemente
  • 2 cucchiai di prezzemolo tritato finemente

Instructions

  1. Mettete nella vasca della planetaria la farina, il sale, il lievito e lo zucchero.
  2. Mescolate con la K quindi aggiungete l’uovo, parte dell’acqua e l’olio e mescolate brevemente. Controllate se la quantità di acqua è sufficiente oppure se ne dovete aggiungere e poi sostituite la K con il gancio ed impastate a bassa velocità stando attente a non riscaldare troppo l’impasto. Dovrete ottenere un impasto liscio, elastico ed abbastanza morbido.
  3. Trasferite l’impasto in una ciotola leggermente oliata e fate lievitare per un’oretta. L’impasto deve raddoppiare di volume
  4. Imburrate uno stampo da plumcake con una parte del burro fuso.
  5. Riprendete l’impasto e sgonfiatelo. Mettetelo su una superficie leggermente infarinata e dividetelo in quattro parti. Da ciascun quarto ricavate 16 pezzi dai quali dovrete ottenere delle palline. Ripetete con il resto dell’impasto.
  6. In una ciotola mettete il burro fuso rimasto e l’aglio tritato finemente o schiacciato con uno spremiaglio.
  7. Preparate delle ciotoline e mettetevi rispettivamente i semi di sesamo, di papavero, il curry, il parmigiano, le mandorle, il Piment d’Espelette, l’erba cipollina e il prezzemolo.
  8. Spennellate una pallina di impasto con il burro all’aglio e passatela nei semi di sesamo. Mettetela quindi nello stampo preparato in precedenza. Ripetete l’operazione con le palline restanti, alternando i diversi ingredienti.
  9. Fate lievitare per una ventina di minuti e nel frattempo preriscaldate il forno a 180 gradi.
  10. Cuocete per 30-40 minuti o finché i panini non saranno dorati e cotti all’interno.
  11. Lasciate nello stampo per 5 minuti e fate raffreddare prima di capovolgere il monkey bread su una gratella.
  12. Servite caldo o a temperatura ambiente.

Notes

Il pane è ottimo anche se una lievitazione così veloce gli impedisce di conservarsi bene il giorno seguente se non tostato. Consiglio quindi di congelare quello che avanza a palline così tra gli altri vantaggi ci sarà quello di scongelarlo velocemente e si potrà anche scegliere il gusto da scongelare in base alla pietanza che si porta in tavola. Le erbe, in cottura, si sono molto scurite passando da un bel verde ad un marroncino ma anche gli altri condimenti in generale non hanno reagito troppo bene al calore quindi la prossima che preparerò il Monkey bread lo cuocerò perlomeno una ventina di minuti con la carta alluminio sopra e poi una volta che il pane si sarà stabilizzato e non rischierò di sgonfiarlo, la rimuoverò e farò colorire pane e condimenti.

Monkey bread con erbe e spezie

Con questa ricetta partecipo al Re-cake 2.0 di Maggio. Questa la locandina e questa la pagina Facebook.

 

E naturalmente porto questo pane dalla Sandrina che li raccoglie tutti nelle sue Ricette Itineranti

Ricette itineranti Panissimo

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Hamantaschen ai semi di papavero

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Hamantaschen ai semi di papaveroSono venuta a conoscenza degli hamantaschen ai semi di papavero leggendo il bellissimo libro di Uri Scheft dal suggestivo titolo di Breaking breads, del quale avevo già provato la ricetta del challah che è servita per i katzu. Gli hamantaschen sono dei biscotti molto particolari grazie al loro ripieno di semi di papavero e alla loro forma triangolare, tradizionalmente consumati per la festa di Purim. In realtà gli hamantaschen possono avere molti ripieni diversi ma quello di semi di papavero è il loro ripieno storico, quello della tradizione. Il sapore è differente da ogni altro biscotto io abbia mai assaggiato perchè a differenza dei biscotti ripieni di marmellata o cioccolata non stanca essendo perfettamente bilanciato; lascia infatti una piacevole dolcezza in bocca senza che si senta lo zucchero. Cercando in rete delle notizie su questi particolarissimi biscotti,  ho letto qua una bellissima interpretazione del loro significato. Non sono in grado di giudicare se sia l’interpretazione corretta ma la trovo estremamente poetica, quindi la riporto cosi come l’ho trovata:

-“Gli ebrei trovano sempre un cibo per raccontare una storia. In questo caso è l’hamantash. La parte esterna è un semplice impasto ma il vero sapore è nascosto all’interno. Dietro la superficie c’è il cuore dell’hamantash, pieno di dolcezza. Anche le nostre vite sono cosi. A volte ci sembra di essere prima spinti e poi tirati da forze accidentali. Ci succedono cose che sembrano confuse e casuali; sembra non ci sia alcun motivo, alcuna direzione in questo freddo e ostile universo. Ma non è vero. Il piano c’è ma è nascosto. Sotto la superficie c’è una calda mano ed un cuore tenero che dirige l’universo. Raramente vediamo la mano e Purim è il giorno in cui si è svelata, quando un’incrinatura ha crepato il guscio della natura ed abbiamo potuto intravedere cosa si cela dietro ad esso. Purim ci ricorda che tutte le coincidenze non sono coincidenze e che nulla è per caso. Siamo ancora nel mezzo della nostra storia quindi è difficile vedere il quadro completo ma alla fine scopriremo che è tutto un grande hamantash”-

Hamantaschen ai semi di papavero

Hamantashen ai semi di papavero

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Serves: 8 Cooking Time:

Ingredients

  • Frolla alle mandorle:
  • 230 g burro di buona qualità freddo
  • 100 g zucchero a velo
  • 50 g zucchero semolato
  • 1 uovo e 1/2 sbattuto (uova grandi)
  • 400 g farina 00
  • 50 g farina di mandorle
  • 5 g di sale
  • Ripieno ai semi di papavero:
  • 220 g di semi di papavero
  • 315 g di latte fresco intero
  • 110 g di zucchero semolato
  • Buccia grattugiata di un limone bio
  • 45 g di burro
  • 15 g di marmellata di albicocche
  • 20 g di briciole di muffin o di torta
  • Per spennellare:
  • 1 uovo grande
  • 1 cucchiaio di acqua
  • Una presa di sale

Instructions

Frolla alle mandorle:

  1. Mettete il burro all’interno di un foglio di carta forno e sbattetelo con un matterello per renderlo plastico senza riscaldarlo troppo.
  2. Trasferite il burro, lo zucchero a velo e lo zucchero granulato nella vasca della planetaria con la K montata e mescolate a bassa velocità per circa 30 secondi (non vogliamo incorporare aria)
  3. Aggiungete le uova e lavorate solo fino a quando saranno incorporate premurandovi di staccare l’eventuale burro rimasto sul fondo.
  4. Mettete anche le  due farine ed il sale e lavorate fino a quando l’impasto non comincerà a stare insieme.
  5. Usando un tarocco date qualche piega veloce evitando così di lavorarlo troppo.
  6. Trasferite l’impasto su di un foglio di carta forno coprendolo con un altro e stendetelo per farlo freddare prima.
  7. Mettete in abbattitore (20 minuti) oppure in frigo (1 ora). A questo punto volendo si potrà conservare in frigo fino a 5 giorni oppure congelare per 1 mese.

Ripieno di semi di papavero:

  1. Versate i semi di papavero in un mixer e tritateli finché non diventeranno polvere ma fermatevi prima che si trasformino in una pasta.
  2. Versate il latte e lo zucchero in una casseruola che metterete su fuoco medio.
  3. Mescolate finché lo zucchero non sarà disciolto (circa 2 minuti) e quindi unitevi i semi di papavero, la buccia di limone grattugiata ed il burro.
  4. Abbassate al minimo il fuoco e cuocete mescolando continuamente (per evitare che i semi di papavero si attacchino  e brucino) fino a che la mistura non si assoderà, i semi avranno assorbito tutto il latte e si cominceranno a vedere le prime bolle (circa 5 minuti).
  5. Togliete immediatamente dal fuoco, mescolatevi la marmellata e le briciole di muffin o di torta.
  6. Trasferite in un contenitore che coprirete con pellicola alimentare e metterete in abbattitore per 15 minuti, oppure che farete freddare a temperatura ambiente.

Preparazione degli hamantaschen:

  1. Trasferite l’impasto sulla spianatoia infarinata leggermente.
  2. Cospargete con poca farina e tirate con il matterello fino a raggiungere uno spessore di circa 0,3 cm. Girate spesso l’impasto spolverizzandolo lievemente di farina per evitare che si attacchi alla spianatoia o al matterello. In caso la frolla si riscaldasse troppo, trasferitela per una ventina di minuti in frigo.
  3. Usando un tagliapasta circolare di circa 6 cm di diametro ritagliate gli hamantaschen e a mano a mano che li avrete ritagliati, disponeteli su due teglie da forno rivestite di carta forno.
  4. Mettete insieme i ritagli schiacciandoli insieme e trasferiteli subito in frigo protetti da pellicola alimentare.
  5. Con un pennellino spennellate la superficie dei dischetti e poi riempiteli con il ripieno usando un cucchiaino o una sac a poche senza metterne troppo altrimenti diventerà difficoltoso chiuderli.
  6. Ora usando indice e pollice di entrambe le mani chiudete il dischetto in 3 punti lasciando il cuore del ripieno scoperto: la classica forma dell’hamantaschen.
  7. Riutilizzate i ritagli ripetendo il processo.
  8. Ora mettete le teglie protette da pellicola in frigo e lasciatevele almeno un’ora o meglio ancora una notte intera perchè gli hamantaschen devono freddarsi bene per mantenere la forma.
  9. Sistemate due griglie in forno, centralmente e preriscaldate a 180°.
  10. Cuocete gli hamantaschen per circa 6 minuti quindi invertite l’ordine delle teglie e proseguite la cottura per altri 6 minuti.
  11. Fate freddare su di una griglia e conservate in un contenitore a tenuta d’aria fino a 3 giorni. Io ho surgelato direttamente quelli che non abbiamo mangiato. Bastano 15 minuti perchè tornino a temperatura ambiente, fragranti come appena sfornati.

Hamantaschen ai semi di papavero

Hamantaschen ai semi di papavero

Credits:  Chabad.org

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Pane arrotolato al rosmarino e pomodorini pachino secchi

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Pane arrotolato al rosmarino e pomodorini pachino secchiDunque: perchè in un periodo dell’anno in cui la gente normale evita addirittura di accendere i fornelli io vengo fuori con la ricetta di un pane arrotolato al rosmarino e pomodorini pachino secchi? Prima di tutto perchè in questo ultimo periodo sto soffrendo un calo generale del desiderio di cucinare che è inversamente proporzionale alla voglia di panificare che invece mi consuma. E non importa che nella mia cucina ci siano già 30° senza considerare il forno o l’abbattitore accesi e non importa nemmeno che lo spauracchio della prova costume si avvicini inesorabile. Oltre a questo motivo c’è anche il fatto che panificare è incredibilmente confortante e dato che in questo periodo sono parecchio malinconica e bisognosa di un conforto che intorno non trovo, mi butto sul pane (purtroppo in tutti i sensi). L’adolescente a pulire i vetri della biblioteca grazie alla gratificante e costruttiva alternanza scuola-lavoro, la casa vuota e le farine che cantano il loro canto struggente come le sirene di Ulisse.. come si fa a resistere? E così impasto impasto e impasto come se ne andasse della mia vita e ogni tanto mi ricordo pure di postare qualche ricetta tra le innumerevoli che ho provato in questo periodo. Immagino che la mia scelta non sia tra le più popolari perché ci vuole qualcuno altrettanto pazzo per mettersi a panificare con questo caldo ma tant’è, i comportamenti ossessivo-compulsivi sono tipici dell’umanità 2.0, quindi di certo non spiccherò in mezzo a tante altre manie e la ritengo comunque una mania più innocua (bolletta a parte) di quella di scrivere/leggere messaggi sul cellulare mentre si guida a 100 km orari. Uno degli impasti che ho ripetuto regolarmente è questo dei grissini di semola, poi ho sperimentato qualche pane da questo libro ma la costante è il lievito naturale. Ora, non ho mai disdegnato il lievito di birra che in modiche quantità, tempi sufficientemente lunghi e magari riposo in frigo garantisce un ottimo pane di certo migliore di quello dei supermercati come anche di tanti panifici nati nell’ultimo periodo ma in frigo ho sempre avuto un barattolo di lievito naturale a disposizione. Il problema era combinare i tempi tra rinfrescare, aspettare, rinfrescare di nuovo, aspettare, impastare, aspettare, dare la forma, quindi molto spesso dedicavo alla panificazione con lievito naturale solo i weekend o le feste. Tutto questo è cambiato da quando, grazie alle mie amiche svalvolate Emmettì e Silvia, del Condominio in cucina ho scoperto gli pseudo-rinfreschi. In pratica si ciba il lievito naturale liquido ogni giorno con un’operazione che richiede una forchetta e 3 minuti di tempo e questo mantiene il lievito sempre attivo, quindi all’atto pratico quando voglio panificare non devo fare rinfreschi continuati per dare forza al lievito ma mi limito a tirare fuori dal frigo il quantitativo che mi serve e parto con il prefermento quando ne ho voglia oppure con un impasto diretto. A quel punto non resta che da aspettare la lievitazione senza aver perso una giornata intera dietro agli orari. Questo pane arrotolato al rosmarino e pomodorini pachino secchi tra l’altro è un impasto diretto quindi ha dei tempi ragionevoli e se non disponete di lievito naturale, otterrete comunque un ottimo pane anche con il lievito di birra. Servitelo con una caprese oppure con della ricotta fresca sopra e poi ne riparliamo 😉                                                                                                                      Pane arrotolato al rosmarino e pomodorini pachino secchi

Pane arrotolato al rosmarino e pomodorini pachino secchi

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Serves: 4 Cooking Time:

Ingredients

  • 150 g di licoli bello attivo oppure 5 g di lievito di birra compresso
  • 500 g di farina tipo 2
  • 250 g di acqua fredda (quantità indicativa)
  • 7 g di sale
  • 3 cucchiai di olio extravergine di oliva
  • rosmarino fresco lavato ed asciugato
  • 1 spicchio d'aglio
  • timo fresco lavato ed asciugato
  • 50 g di pomodori pachino secchi

Instructions

  1. Nella vasca dell’impastatrice sciogliete il licoli o il lievito di birra in un poco del quantitativo di acqua.
  2.  Aggiungete la farina ed il resto dell’acqua (lasciatene un poco in caso la vostra farina ne assorba meno) e cominciate ad impastare a vel. minima.
  3. Appena l’impasto comincerà a stare insieme unite anche il sale e impastate aumentando un poco la velocità  facendo però attenzione a non scaldare l’impasto. Ci vorranno circa 10 minuti.
  4. Mettete l’impasto a lievitare coperto in un luogo a temperatura costante (io in abbattitore). L’impasto deve raddoppiare di volume ed i tempi possono variare di molto perchè dipendono dalla forza del licoli, dalla temperatura che avete in casa, dal tipo di farina che usate. Nel caso usaste lievito di birra ovviamente i tempi saranno più brevi ma considerate comunque circa 2 ore.
  5. Mentre l’impasto lievitata mettete l’aglio (tritato se gradite oppure intero in modo da poterlo togliere), il rosmarino ed il timo in una padella insieme all’olio e fate riscaldare appena. L’olio non deve assolutamente friggere.
  6. Lasciate freddare.
  7. Ammollate i pomodorini secchi in acqua tiepida, strizzateli e tagliateli grossolanamente.
  8. Stendete l’impasto lievitato cercando di dare una forma rettangolare.
  9. Distribuitevi l’olio con le sue erbe ed i pomodorini.
  10. Arrotolatelo dal lato più corto, trasferitelo su carta forno, cospargetelo di farina e mettetelo a lievitare per altri 45 minuti circa protetto da pellicola alimentare.
  11. Preriscaldate il forno al massimo piazzando già a metà forno la pietra refrattaria se la possedete e sul fondo una teglia di metallo per il vapore.
  12. Trasferite carta e pane su di una pala oppure sul sotto di una teglia liscia e fatelo scivolare sulla refrattaria.
  13. Versate immediatamente un bicchiere d’acqua nella teglia sul fondo ed abbassate la temperatura a 210°.
  14. Fate cuocere per circa 25 minuti, di cui gli ultimi 10 portando la temperatura a 180° ventilata e con il forno leggermente aperto con una pallina di carta alluminio o con un mestolo.
  15. Fate raffreddare su di una griglia cercando di tenere il pane in verticale.

Notes

Il pane dà il suo meglio appena sfornato (lo so che bisognerebbe dargli il tempo di freddare ma con questo profumo è davvero difficile) ma quello che è avanzato l'ho messo in un sacchetto di carta che ho messo dentro un sacchetto da congelazione aperto (suggerimenti della mia amica Emmetti' ❤) e il giorno dopo prima di consumarlo lo abbiamo passato un secondo nel tostapane. Ovviamente la versione con il lievito di birra si conserva meno a lungo ma questa è una considerazione assolutamente inutile perchè non c'è alcuna possibilità che avanzi a lungo. p.s. So che può avere conseguenze fastidiose e protratte, ma l'aglio in questo pane è come la pommarola per gli spaghetti 😉

Pane arrotolato al rosmarino e pomodorini pachino secchi

Pane arrotolato al rosmarino e pomodorini pachino secchi

 

E preparo un bel cestino e questo pane arrotolato al rosmarino e pomodorini pachino secchi lo porto dalla Sandrina per la rubrica Ricette itineranti

 

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Frustine di semola alla Nutella

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Frustine di semola alla nutella

E anche quest’anno ce l’abbiamo fatta. Finito il riordino della casa prima di chiuderla per l’estate, con tutti i problemi che comporta svuotarla e trasferirla (sapendo che si dovrà affrontare il processo inverso dopo soli due mesi); spuntate le voci delle innumerevoli liste (delle quali ormai non so più fare a meno) nonostante ogni anno mi riprometta di diminuire le cose da portarmi dietro, assolti tutti gli obblighi come l’ordinare i libri per le vacanze e per la IV Liceo (nonostante Ktema es aiei e Lisia contro Erastotene su Amazon non si trovino), vuotare dispensa e congelatore, sistemare bollette e scadenze, finita anche l’inutile alternanza scuola/lavoro. Una volta trasferiti però le cose da fare sono ancora molte: la casa va riportata in vita lasciando che l’aria torni a circolare dopo 10 mesi di chiuso, ci sono le lezioni di fisioterapia da organizzare, gli allenamenti in piscina, i ritorni a casa bisettimanali, le bici da controllare e poi c’è da riabituarsi alla vita in città, notti di rumore dopo i grilli della campagna, lo smog, la confusione, il tran tran che mi risulterà naturale dopo appena una o due settimane. L’estate però si porta dietro sempre più pesantemente una sensazione di malinconia per le cose che cambiano con una velocità che mi spaventa. Ancora mi commuovo ripensando alla festa di fine elementari e invece qua tra un po’ siamo all’università. Ma io dov’ero nel frattempo? Questi anni sono passati in un lampo lasciandomi in bocca un retrogusto amaro: la spiacevole sensazione di non averne goduto appieno, di non averli assaporati fino in fondo. I ricordi scorrono veloci: io e l’adolescente ancora cucciolo in due in bicicletta, lui saldamente stretto alla mia vita, l’asciugamano di Spider-Man e le formine, la scatolina verde con le giraffe per lo snack a metà mattina, gli infiniti libri da leggergli sotto l’ombrellone, Gian Burrasca, Pinocchio, Melina e Un amico per Dragone, i testi delle canzoni in inglese che cantava con parole inventate, i cartoni visti e rivisti e rivisti ancora, il sonnellino al quale mi abbandonavo appena lui chiudeva per un istante gli occhi. Ora ci sono i messaggi al cellulare, lo schermo sempre girato in modo che io non possa leggere quello che scrive, le battute con gli amici che il più delle volte non capisco perché spesso hanno a che fare col latino o col greco antico, la sua schiena mentre si affretta fuori dalla cabina in modo da poter arrivare in spiaggia da solo, la triste consapevolezza che ormai di lui conosco ben poco e solo quello che si degna di condividere. Fortunatamente ci sono ancora cose delle quali gioire come per esempio la grande passione comune per libri e film, le bellissime (ma purtroppo sporadiche) conversazioni nelle quali non finisco mai di stupirmi di quanto originali e razionali siano le sue opinioni, la sua maturità intellettuale, merito di quel che legge ed indubbiamente della scuola che frequenta, le nostre continue fughe alla ricerca di nuovi ristoranti etnici, i libri che ci passiamo e la meravigliosa, straordinaria abitudine che ancora sopravvive del libro letto insieme prima di dormire. Suppongo debba farmelo bastare quindi, nei momenti nei quali, in casa, mi ritrovo sola mentre lui è perso dietro qualcos’altro oppure con la testa china su una delle innumerevoli versioni di greco che gli hanno dato come compito per le vacanze, che cosa faccio? Mi metto a fare il pane. Lo so che é folle considerato il periodo, ma mi rilassa e non intendo rinunciarci solo perché fa troppo caldo. Questa volta ho preparato delle frustine di semola alla Nutella che avevo assaggiato ad un corso di Sara Papa. Un impasto di semola ( io della varietà Senatore Cappelli che lei aveva riempito con olive e ‘nduja e che ho deciso di variare usando della Nutella ma lasciando invariata la dose di sale. Il risultato è stato davvero indovinato perché il sale dell’impasto contrasta a meraviglia con la dolcezza della crema al cioccolato rendendo queste frustine davvero golose. Congelatele e tiratele fuori quando vi prende voglia di dolce. Basteranno pochi minuti nel tostapane e saranno come appena sfornate. Naturalmente, con l’impasto base potrete usare il ripieno desiderato, magari preparando metà frustine con ripieno salato e metà con ripieno dolce ma vi assicuro che in un modo o nell’altro questa ricetta è comunque una garanzia. E poi una frustina alla Nutella riesce ad addolcire anche gli adolescenti scontrosi. Solo per il tempo necessario a finirne una, naturalmente 😉

Frustine di semola alla nutella

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Serves: 6 frustine Cooking Time:

Ingredients

  • 600 g semola rimacinata di grano duro
  • 10 g di lievito di birra oppure 150 di lievito madre
  • 350 g di acqua fredda (in inverno userete acqua tiepida)
  • 50 g di olio extra vergine di oliva
  • 10 g di sale
  • Nutella

Instructions

  1. All’interno della vasca della planetaria sciogliete il lievito madre (io licoli) o il lievito di birra in circa 320 g dell’acqua prevista.
  2. Incorporatevi la semola setacciata ed impastate brevemente a velocità minima.
  3. Aggiungete il sale e l’olio e lavorate inizialmente a vel. 1 ritoccando di acqua se necessario
  4. Tenendo sotto controllo la temperatura dell’impasto che non deve superare i 26°, aumentate la velocità a 2-2,5 e lavorate fino a che l’impasto non risulterà liscio ed elastico ma comunque morbido.
  5. Mettete in una ciotola e fate lievitare fino al raddoppio (io in abbattitore). Con il lievito di birra ci vorranno circa 2 ore mentre con il lievito madre i tempi variano molto. Io ci ho messo circa 5 ore.
  6. Trasferite l’impasto lievitato su di una spianatoia infarinata e stendete formando un rettangolo di circa 1/2 cm di spessore.
  7. Spalmatevi la Nutella senza esagerare e quindi con una rotella tagliapasta tagliare delle strisce larghe 2 cm dal lato corto del rettangolo.
  8. Ripiegate ogni striscia su se stessa, premete per far aderire i bordi e poi attorcigliatela fino a formare delle frustine (potete farle più larghe o più strette ottenendo rispettivamente frustine grassottelle oppure tipo grissino. Le mie sono ovviamente più grassottelle)
  9. Mettete le frustine su di una teglia rivestita di carta forno (a me ne sono servite due) e fate riposare coperte per altri 30 minuti circa e nel frattempo preriscaldate il forno a 210° statico.
  10. Cuocete per circa 20 minuti. Le frustine dovranno risultare di un bel colore dorato.
  11. Se voleste delle frustine più croccanti, al termine dei 20 minuti abbassate la temperatura a 180° cottura ventilata e cuocete con il forno leggermente aperto (con un mestolo o una pallina di alluminio) per un’altra decina di minuti.

Notes

Le frustine di semola alla Nutella si conservano per molti giorni ma io preferisco comunque abbatterle e ripassarle velocemente in forno o nel tostapane quando ne voglio mangiare una. Non fatevi irretire dall’home made per quello che riguarda la Nutella, almeno per quel che riguarda quella che deve fare da ripieno e poi viene cotta. La crema al cioccolato fatta in casa, buonissima ed eccezionale spalmata sul pane, si liquefà tristemente col calore del forno e vi ritrovereste con delle frustine vuote adagiate sulla Nutella sciolta e ridotta a crosticine marroni. E parlo per esperienza 😉 Potete però mettere al posto della Nutella dei pezzettini di cioccolato ma non so se poi sarebbe semplice arrotolare le frustine. Se ci provate fatemi sapere 😊

Frustine di semola alla nutella

Frustine di semola alla nutella

Qui  un’altra ricetta di Sara Papa: le treccine al latte con uva passa e canditi

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